Rivoluzione agricola e industriale: riassunto | Studenti.it

2022-10-10 17:00:30 By : Ms. Maggie King

Riassunto sulla rivoluzione agricola in Inghilterra fino alla rivoluzione industriale europea . Cosa sapere sulla rivoluzione agricola e industriale

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Anche la piu progredita agricoltura medievale, quella che impiegava la rotazione triennale, obbligava a lasciare incolto ogni anno un terzo del terreno arativo a causa della scarsità di concimi che dipendeva dall’insufficienza del bestiame e dalla limitata disponibilità di pascoli e foraggio. Nelle regioni dell’Europa continentale la maggiore diffusione della rotazione triennale era di solito praticata nei villaggi detti a campi aperti (openfield).

La ragione principale della vitalità di questo sistema stava nel fatto che esso procurava ai contadini una quantità supplementare di foraggi e bestiame, consentendo il pascolo comune sulla porzione appena mietuta e destinata al riposo annuale. Ma nemmeno l’openfield riusciva a soddisfare il bisogno di terra necessaria all’allevamento del bestiame e doveva essere integrato da terre comuni lasciate incolte e ciò accresceva lo spreco della terra disponibile.

Nel corso del Settecento in Inghilterra i prati artificiali andarono via via sostituendo i tradizionali pascoli comuni sui maggesi consentendo un accrescimento del bestiame. Al posto dell’alternanza fra semina e incolto periodico si ebbero avvicendamenti di diverse colture scelte seguendo la scienza agronomica sperimentale che aveva scoperto come mantenere e migliorare la fertilità del suolo.

La scomparsa dei maggesi determinò un aumento della superficie coltivata e con l’abbondanza di foraggi si ebbero allevamenti piu numerosi che davano maggiori quantità di fertilizzanti naturali. Al pascolo brado si veniva sostituendo l’allevamento stabulare, dove il bestiame era tenuto in stalle o recinti. Questo tipo di associazione di allevamento e agricoltura richiedeva notevoli investimenti e poté realizzarsi nelle grandi aziende capitalistiche che nelle piccole proprietà.

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Un importanze nesso fra rivoluzione agricola e quella industriale sta nel fatto che un’agricoltura sempre piu avanzata non poteva sussistere senza l’aiuto di attrezzi e strumenti di lavoro che venivano prodotti dalla nascente metallurgia industriale. Va tuttavia osservato che i progressi dell’agricoltura inglese furono principalmente di tipo agronomico mentre il ruolo delle macchine agricole fu molto limitato.

Gli agronomi si preoccuparono anche di studiare la forma ottimale delle diverse parti dell’aratro e il contributo dell’industria si limitò al fatto che il prezzo del ferro andò costantemente diminuendo. Si può affermare d’altra parte che la domanda di attrezzi di metallo stimolò a sua volta la rivoluzione industriale sostenendo una buona parte della crescita dell’industria metallurgica.

L’interazione fra agricoltura e industria portò a una profonda trasformazione di quasi tutti gli strumenti agricoli. Dapprima gli attrezzi tradizionali interamente in legno o con alcune parti in ferro battuto costruiti dal falegname e dal fabbro del villaggio, furono sostituiti da attrezzi piu efficienti prodotti dalle nuove industrie. Successivamente molti di essi furono soppiantati dalle macchine agricole.

Gli avvicendamenti continui e la meccanizzazione non furono i soli fenomeni che caratterizzarono la rivoluzione agraria in Inghilterra, l’altro elemento importante fu il nuovo tipo di rapporto che si instaurò tra proprietari e contadini. Durante il Medioevo la quota maggioritaria della produzione agricola era riservata al consumo dei servi-contadini e della famiglia del signore, mentre il resto veniva venduto.

Alla fine del XVII secolo però i gradi proprietari inglesi cominciarono a considerare l’agricoltura non piu solo un’attività legata al commercio ma come un settore degno di consistenti investimenti e come una fonte di grandi profitti. La crescente importanza del rapporto fra beni agricoli e mercato era legata all’aumento della produzione e alla crescita della domanda da parte delle città. Ma per produrre di piu occorreva disporre di denaro da impiegare. La rivoluzione agricola inglese si può considerare come il passaggio dalla gestione contadina di piccole aziende familiari all’azienda agraria di grandi dimensioni gestita in forma capitalistica.

Il Settecento segnò in Inghilterra il compimento del processo di trasformazione che portò alla dissoluzione del sistema dell’openfield aveva cominciato a indebolirsi già nel XVI e XVII secolo al tempo delle prime recinzioni. Negli ultimi decenni del XVII secolo questo fenomeno riprese con maggiore intensità sospinto dallo sviluppo della proprietà privata e dalla crescente forza del mercato.

Le nuove recinzioni comportarono sia l’accorpamento delle singole unità in proprietà più vaste e compatte, sia la sottrazione di queste alla consuetudini della comunità di villaggio. Esse dettero inoltre l’avvio a una nuova forma di gestione della terra: al posto di una struttura costituita da grandi proprietari e piccoli affittuari sorse quella costituita dai proprietari, dai grandi affittuari e dalla massa dei lavoratori salariati.

Gli incolti comuni usati per il pascolo brado cominciarono a ridursi visibilmente. Privati delle risorse comuni i coltivatori indipendenti videro distrutte le basi dell’economia familiare e furono costretti ad affrontare la prospettiva della proletarizzazione accettando di divenire salariati pagati a giornata.

Le recinzioni del Settecento furono attuate grazie a interventi legislativi del parlamento sollecitati dai grandi proprietari terrieri. La resistenza dei contadini alle recinzioni andò riducendosi  via via che percepirono l’inutilità della loro opposizione. Inoltre se nei secoli precedenti recintare le terre per introdurvi l’allevamento aveva comportato l’espulsione di uomini, nel Settecento generarono una domanda crescente di forza-lavoro.

Le agitazioni nelle campagna divennero estese e violente solo piu tardi nei primi decenni dell’Ottocento quando la comparsa di macchine agricole minacciò davvero di ridurre l’occupazione. L’affermazione dell’agricoltura capitalistica comportò, in una fase di crescita della popolazione, la formazione di vaste frange di contadini poveri: di fronte alla dissoluzione del sistema dei villaggi tradizionali e all’abolizione dei pascoli comuni per un gran numero di costoro non restava che la via dell’emigrazione verso i centri urbani e le fabbriche.

La rivoluzione industriale inglese è caratterizzata da tre elementi principali: il prodotto interno crebbe piu in fretta della popolazione, la produzione industriale aumentò piu di quella complessiva diventandone una quota percentuale rilevante e la maggiore produttività del lavoro venne consentita dalla meccanizzazione dei processi di produzione.

Nel settore tessile, l’industria laniera era il vero pilastro dell’economia manifatturiera inglese. La maggior parte della produzione laniera era legata al lavoro a domicilio svolto dai contadini nei periodi di minore attività agricola. Questi tessitori dipendevano totalmente dai mercanti che erano proprietari dei telai e che provvedevano a consegnare la materia prima e a ritirare il prodotto finito.

I mercanti-imprenditori approfittando della scomparsa degli organismi corporativi, avevano affiancato alla produzione decentrata nei villaggi quella accentrate delle manifatture collocate in centri urbani di media grandezza. Queste manifatture ospitavano sotto un capannone una decina di operai.

Nel 1733 John Kay introdusse un’innovazione decisiva nelle macchine per tessere inventando la spoletta volante, un congegno che rendeva piu spedito il lavoro del tessitore. Ebbe l’effetto di provocare una strozzatura nel rapporto tra filatura e tessitura e ciò creò una maggiore domanda di filato e stimolò anche l’invenzione di nuove tecnologia nel campo della filatura.

Le filande furono costruite nelle campagne per sfruttare l’energia idraulica dei corsi d’acqua trasmessa dai meccanismi di un mulino alle macchine filatrici. Il processo di concentrazione provocato dalla meccanizzazione fu poi accelerato dall’applicazione della macchina a vapore alla filatura e piu tardi alla tessitura. A questo punto le filatrici meccaniche non dipesero piu dalla forza dell’acqua e le filande cominciarono a essere trasferite nelle città vicino alle grandi vie di comunicazione e ai centri di commercio. Questo fu il primo autentico modello di fabbrica industriale moderna.

Il carbon fossile era divenuto comune in Inghilterra in un’epoca assai anteriore a quella della rivoluzione industriale. Il legno degli alberi offriva un combustibile diretto di non grande potere calorico, ma ben piu elevato era quello del carbone di origine vegetale ottenuto bruciando il legname stagionato. I vantaggi del carbone di origine minerale piu che di ordine energetico erano di ordine economico.

I costi di produzione del carbone di legna, dalla raccolta della materia prima alla sua carbonizzazione, erano piu elevanti di quelli della semplice estrazione di una sostanza già allo stato minerale. Il trasporto dalle zone di produzione a quelle di consumo era solo uno dei problemi inerenti il settore del carbone.

Prima ancora di trasportarlo infatti il carbone andava estratto e via via che i pozzi e le gallerie diventavano piu profondi si poneva il problema di prosciugarli dall’acqua. Nel 1698 l’inglese Thomas Savery progettò una primitiva macchina a vapore in cui la pressione atmosferica provocava un vuoto all’interno di un serbatoio e spingeva l’acqua verso l’alto.

Ma fu solo dopo il 1765 che gli esperimenti condotti sulla forza vapore indussero James Watt a trasformare radicalmente i principi tecnici su cui si erano basate le macchine atmosferiche e a progettare la prima vera macchina a vapore. Il rapporto macchina a vapore e carbon fossile è un tipico rapporto di interdipendenza che produce lo sviluppo simultaneo di entrambi i fatti: la macchina di Watt consentì di scavare e prosciugare pozzi più profondi e di aumentare la produzione di carbone che a sua volta fornì il combustibile necessario a produrre il vapore per un numero sempre maggiore di macchine

Il carbon fossile si era imposto in vari settori di produzione ma non nella lavorazione di minerali ferrosi perché qui il risparmio sui costi del combustibile era controbilanciato dall’estrema fragilità della ghisa ottenuta. Il problema era quello di liberare il carbon fossile dai suoi componenti di zolfo e fosfati che danneggiavano la ghisa al momento della fusione.

La soluzione fu di trasformare il carbon fossile in coke di carbone puro con un processo di distillazione che in pratica consentiva nel bruciare ad alte temperature il minerale.  

La diffusione di questo procedimento fu molto lenta e il processo venne avviato dopo il 1770 quando i vecchi altiforni a carbone di legna si avviarono a scomparire di fronte a quelli a carbon coke. Il primo prodotto dell’altoforno è in effetti una ghisa ad alto contenuto di carbonio, la cui insufficiente duttilità ne rende difficile la lavorazione. Deve essere decarburata e per questa operazione decisiva fu la tecnica detta pudellaggio che si effettua rimescolando il minerale fuso con delle lunghe barre di ferro.

La concentrazione delle attività industriali ebbe un immediato riscontro sulla distribuzione territoriale della popolazione. Nel corso del Settecento l’Inghilterra registrò una crescita demografica ma che si distribuì in maniera molto diseguale nelle varie contee inglesi. In quelle del sud-est prevalentemente agricole l’incremento fu inferiore alla media mentre in quelle del centro sedi del maggior sviluppo industriale esso fu piu consistente. La popolazione crebbe nel corso di un secolo del 180%.

Ancora piu rapida fu la crescita della popolazione urbana. A meta del Settecento l’Inghilterra aveva un tasso di urbanizzazione piu elevato di quello del resto d’Europa e Londra rappresentava da sola oltre la metà della popolazione urbana inglese. La Gran Bretagna, in pieno svolgimento del processo rivoluzionario, stava diventando il paese più urbanizzato d’Europa. Significativo fu il fatto che le nuove citta industriali nascevano spesso dal nulla venendo a costituire una rete urbana del tutto diversa da quella delle epoche precedenti. Ad esempio Manchester, la futura capitale del cotone, nel 1700 aveva solo 5000 abitanti cresciuti poi a 27mila nel 1773, o Liverpool che passò da 26mila abitanti agli 82mila del 1800.

Una popolazione così elevata dovuta a una crescita concentrata in poco piu di cinquant’anni rese molto difficili le condizioni di vita delle città che già prima della rivoluzione industriale erano poco accoglienti e prive degli elementari servizi igienici. I centri industriali divennero sempre piu inabitabili, con gli edifici perennemente ricoperti dalla coltre di fumo che si sprigionava dalle ciminiere. Continuarono a mancare i rifornimenti di acqua, le fognature e i servizi di pulizia delle strade. Queste condizioni determinarono la diffusione di malattie collettive e di vere e proprie epidemie. I tassi di mortalità urbana si mantennero piuttosto elevati ed erano certamente superiori a quelli dei centri rurali. La vita degli operai si svolgeva in piccole abitazioni prive di luce e sovraffollate per le quali occorreva pagare affitti molto elevati.

Assieme alla fabbrica e alla citta industriale la macchina creò anche il proletariato moderno. Un proletario è un individuo che non possiede mezzi di produzione e che percepisce un salario come remunerazione del lavoro fornito. Il livello del salario era determinato dall’equilibrio fra domanda e offerta.

Quando l’offerta di lavoro da parte degli imprenditori diventata piu elevata della domanda anche il salario tendeva ad innalzarsi. Mettendo a sé il caso dell’Inghilterra nell’Europa preindustriale il lavoro salariato non era comune. Un contadino che lavorava su un fondo in base a un affitto a lungo termine eventualmente ereditario, non era un proletario vero e proprio perché aveva un possesso di fatto della terra e non era soggetto alle forze del mercato.

Lo stesso si può dire per un contadino inserito in una rete di contatti agrari con una durata piu breve. I contadini inoltre erano titolari di una certa quantità di diritti senza contare il fatto che vi erano le parrocchie che assicuravano una qualche forma di protezione nei confronti del proprietario del suolo. Gli artigiani avevano perduto da tempo il prestigio sociale e la piena indipendenza economica ma alla loro completa proletarizzazione si opponeva il fatto che essi possedevano un’abilità solo in parte soggetta a concorrenza trattandosi di lavori qualificati.

Il lavoro salariato dominava senza ostacoli in tutti questi casi in cui non era richiesta la benché minima specializzazione. L’azione delle macchine dequalificavano il lavoro e ne riducevano il valore. Particolarmente esposti ai processi di proletarizzazione si trovarono le donne e i bambini il cui lavoro del tutto dequalificato era privo di protezione e considerato particolarmente adatto alle esigenze della fabbrica e delle macchine.

Molti studiosi hanno pensato che in passato il proletariato industriale fosse in principio composto dalla popolazione contadina espulsa dalle campagne dall’avanzare delle recinzioni. È indubbio che queste abbiano ridotto il numero dei contadini ma anzi fin al principio dell’Ottocento, prima che si diffondessero le macchine agricole. questo numero potrebbe aver avuto la tendenza a crescere.

Più che lo sviluppo del capitalismo rurale fu l’aumento della popolazione a fornire manodopera alle industrie. Si aggiunse poi l’immigrazione in Inghilterra dei contadini irlandesi che svolgevano mansioni meno qualificate e si accontentavano di salari piu bassi di quelli degli operai inglesi. A meta Ottocento solo poco piu di un quarto della popolazione attiva era coinvolta nei settori produttivi che possiamo definire moderni. Dopo il 1830 la disoccupazione tecnologica provocata dall’introduzione delle macchine rese definitive e irreversibili la crisi e la proletarizzazione.

La produttività e i costi dei lavoratori non potevano competere con le fabbriche dotate di macchine mosse dalla forza vapore.

La rivoluzione industriale aumentò la produzione e i profitti che potevano essere utilizzati come capitali da reinvestire e l’autofinanziamento fu in principio piu diffuso del ricorso alle banche. L’industriale poteva cosi comprare altre materie prime e nuovi macchinari e assumere piu operai per produrre i prodotti che gli facevano ulteriormente aumentare il capitale da investire.

Tre furono i fattori di questa espansione:

Fra il 1750 e il 1785 i generi di prima necessità mostrarono una tendenza al rincaro. L’aumento dei salari nominali non riuscì a tenere il passo con l’inflazione e questo determinò la continua erosione dei salari reali il cui effettivo potere d’acquisto risultò ridotto.

Vi fu poi un gravissimo peggioramento delle condizioni degli operai: la lunghezza della giornata lavorativa era normalmente di 12 ore e che si poteva prolungare fino a 14, l’estremo disagio di un lavoro monotono che si svolgeva in ambienti rumorosi; l’insicurezza del posto di lavoro poiché bastava una delle periodiche cristi che caratterizzarono sin dall’inizio il capitalismo industriale con la conseguente riduzione dell’occupazione per condurre una famiglia operai alla miseria.

Il lavoro nelle industrie metallurgiche e meccaniche restò prerogativa degli uomini ma nell’industria tessile vennero sostituiti da donne e bambini. Si trattava di una forza-lavoro che poteva essere pagata meno e che aveva un comportamento piu docile e si adattava piu facilmente alle regole del sistema di fabbrica.

La totale libertà nell’uso della forza-lavoro da parte degli imprenditori non durò a lungo. In una prima fase della durata di 50 anni gli operai subirono passivamente condizioni di vita cosi difficili che i lavoratori cominciarono a opporsi e a ribellarsi prima nella maniera disorganizzata e spontanea detta luddismo che consisteva nella distruzione delle macchine accusate di produrre disoccupazione e bassi salari, poi attraverso forme di associazione come leghe o i sindacati.

Gli autori delle proteste caddero però sotto le nuove leggi che colpirono ogni forma organizzata di pressione sugli industriali volta a ottenere aumenti di salario, diminuzione delle ore di lavoro o qualunque controllo sulle condizioni di impiego. Con una legge del 1802 il parlamento inglese regolamentò il lavoro degli apprendisti e dei minori stabilendo un limite massimo di 12 ore e vietando il lavoro notturno. Quanto agli operai adulti solo nel 1825 una legge riconobbe il loro diritto di associarsi.

La supremazia inglese era stata in parte favorita dal fatto che già prima della rivoluzione industriale i suoi commerci erano estesi in tutto il mondo cosi da procurare un agevole accesso ad alcune materie prime strategiche. Una quota consistente della grande e piccola nobiltà poi era stata sempre attratta dalle attività economiche, mentre nel resto d’Europa l’aristocrazia guardava con diffidenza e ostilità a queste attività proprie dei ceti borghesi.  

In Inghilterra la borghesia industriale e commerciale poté cosi sviluppare i propri affari con il favore dello stato che se pur dominato dall’aristocrazia terriera seppe riconoscere l’importanza delle nuove industrie. Ma tali condizioni non esistevano negli altri paesi europei i quali si trovarono ad avviare il loro processo di industrializzazione dovendo fare i conti con l’industria inglese già pienamente affermata con prodotti che avevano bassi costi di produzione grazie alle macchine.

Lo sviluppo economico inglese si era affermato principalmente nell’industria cotoniera, nella produzione di carbon fossile, nella produzione di ghisa in altiforni alimentati a coke, nell’impiego di macchine a vapore e nelle costruzioni di ferrovie. Alcune isole di industrializzazione avevano cominciato a comparire qua e la in diversi in diversi paesi europei dopo il 1815.

La circolazione di qualche macchina prototipo e di artigiani e tecnici che si trasferivano dall’Inghilterra sul continente o viceversa fu sufficiente a rendere possibile l’imitazione dei segreti del primato britannico. Le prime macchine potevano essere costruite direttamente dagli artigiani poiché i meccanismi di cui erano composte erano molti semplici. Macchine relative semplici richiedevano piccole quantità di capitale per la loro costruzione e potevano essere affidate a una manodopera non specializzata e a basso costo. Fra il 1815 e il 1830 le industrie moderne riuscirono ad affermarsi in Belgio e Francia. Solo dopo il 1830 la rivoluzione industriale si propagò in Svizzera, Svezia e Germania, successivamente in Olanda, Austria e Italia. Gli Stati Uniti nel 1850 e il Giappone dopo il 1880 furono gli unici paesi non europei nei quali il processo di industrializzazione si affermo autonomamente.

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